
"Chi non ha visto Venezia
in aprile, non può immaginare tutta la bellezza inesprimibile di questa
città d'incanto. La dolcezza della morbida primavera si addice a
Venezia, come il sole abbacinante d'estate si addice alla splendida Genova, e l'oro e la porpora dell'autunno a Roma,
grande e antica. La bellezza di Venezia commuove e fa nascere desideri,
come la primavera; stanca e lusinga come la promessa di una vicina,
misteriosa felicità. Tutto è luminoso e comprensibile, e tutto è avvolto
nel fumo sonnolento di un silenzio incantanto. Tutto tace ed è tutto
gradevole; tutto è femminile, dallo stesso nome: non per niente l'hanno
chiamata «la Bella». Le sagome dei palazzi e delle chiese si alzano
lievi e stupende, come il sogno di un giovane Iddio; c'è qualcosa di
fiabesco, qualcosa di strano, che affascina, nel luccicare verdastro e
nelle sfumature di seta dell'acqua tranquilla dei canali, nella
silenziosa corsa delle gondole, nella mancanza di quell'irritante
frastuono della città, di suoni e rumori. «Venezia muore, si è
spopolata» dicono i suoi abitanti; le mancava forse quest'ultima grazia,
la grazia di appassire in fiore, nel trionfo della bellezza. Chi non
l'ha vista, non sa: nè Canaletto nè Guardi (per non parlare degli ultimi
pittori), hanno potuto cogliere quel lieve clima d'argento, l'orizzonte
vago e vicino, la divina armonia delle linee più delicate e dei colori
più languidi. Chi ha già vissuto e sofferto non venga a Venezia. Gli
verrebbe l'amarezza dei sogni giovanili non realizzati. Ma sarà dolce a
chi ha ancora se si sente teso alla gioia; allora porterà la sua gioia
sotto i cieli incantati, e per quanto sia luminosa, la indorerà con la
loro luce smagliante." Da Alla vigilia, in Tutti i romanzi, traduzione di Ettore Lo Gatto, Mursia, Milano, 1959, pp. 372-373.
(Ivan Sergeevič Turgenev, scrittore e drammaturgo; Orël, 9 novembre 1818 – Bougival, 3 settembre 1883)