"Niente potrà togliermi il senso di colpa che ho nei confronti di coloro
che hanno sacrificato la vita per il mio lavoro, per la mia resistenza
al tipo di giornalismo che si sta instaurando in Russia grazie alla
guerra "alla Putin".
Parlo di un giornalismo ideologico senza accesso all'informazione,
senza incontri né conversazioni con le fonti, senza verifiche dei fatti.
Come ad esempio quello dei miei colleghi, che seduti dietro tre
barriere di filo spinato nelle basi militari russe, riferiscono a Mosca
del "miglioramento quotidiano" dei villaggi ceceni.
Quel tipo di lavoro, che io credevo morto insieme al comunismo, da noi è
ormai considerato la norma, e inoltre è riconosciuto e lodato dalle
autorità. Quanto all'altro tipo di giornalismo, quello che comporta uno
sguardo diretto su ciò che succede, non solo viene perseguitato, ma si
rischia addirittura la vita. Un salto indietro di dieci anni, dopo la
caduta dell'Urss!"
(Anna Stepanovna Politkovskaja, giornalista; New York, 30 agosto 1958 – Mosca, 7 ottobre 2006)
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