giovedì 23 febbraio 2023

 


"Il nostro è un tempo difficile, dominato dalla paura, la passione che divide gli uomini, che li spinge a chiudere le porte, a guardare l’altro come un pericolo. È un tempo in cui ci si salva da soli, e spesso contro gli altri, in cui il male trova grande spazio e si diffonde rapidamente proprio perché le disuguaglianze aumentano, i più deboli sono divisi e quindi facilmente soggiogabili. Il Grande Inquisitore, una delle figure-chiave del libro di Dostoevskij, al centro anche del mio l’Umiltà del male, edifica il proprio potere usando a proprio vantaggio la grande conoscenza delle debolezze degli uomini. Egli aiuta e protegge, ma solo alla condizione che si rimanga in eterno fanciulli, dipendenti da lui. Del resto, come Levi ci mostra con straordinaria lucidità ne I sommersi e i salvati, anche nel Lager, dove non esiste nessuna possibilità di resistenza, il potere corrompe, costruisce una “zona grigia”, coinvolge, in cambio della concessione di piccoli privilegi, le sue vittime nella gestione dell’orrore. La paura è il contrario della speranza, la passione capace di allargare il mondo, di spingere i deboli a mettersi insieme. Laddove la speranza scompare e il mondo diventa più stretto, gli uomini si dividono, cercano soluzioni da soli e spesso gli uni contro gli altri. È allora che l’ombra del Grande Inquisitore si allarga e si allunga. Nella Siviglia del Cinquecento, quella di cui parla l’Ivan Karamazov di Dostoevskij, gli strumenti del Grande Inquisitore erano il miracolo, il misteroe l’autorità: la superstizione, l’ignoranza e la subordinazione cieca e rassegnata, che facevano dell’uomo un fanciullo bisognoso di un’eterna ed interessata tutela. Anche oggi il Grande Inquisitore continua a valersi dell’ingenuità dell’uomo per soggiogarlo, ma ha “modernizzato” i suoi strumenti: oggi la passività ha un’altra forma, più sofisticata e nascosta dietro l’apparenza dell’autonomia. Le leve del nuovo potere sono l’ossessione del consumo e della distinzione, la rivendicazione della volgarità come sincerità, la celebrità sganciata da ogni merito e legata all’esposizione impudica del sé, un individualismo che ha perso per strada il tratto più nobile dell’individuo, il senso di responsabilità verso gli altri, una sorta di narcisismo amorale insofferente nei riguardi di ogni regola. Il Grande Inquisitore oggi non è più il vecchio chierico devoto, ma il piazzista che, dietro il sorriso di velluto che ci arriva da tutti gli schermi, nasconde il pugno di ferro del suo potere personale, che seduce ed acquista beni e persone. E qualche anima smarrita, oggi come allora, si spinge fino al punto di ringraziare il cielo per la sua esistenza."  

(Franco Cassano, sociologo e politico; Ancona, 3 dicembre 1943 – Bari, 23 febbraio 2021)

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