"L'unica cosa che m'interessava era il pallone, anzi la palla, il pallone era per chi giocava sul serio. All'oratorio. Facevo le elementari e parliamo del cuore di Roma, piazza Trilussa, via Garibaldi. Là c'era l'osteria del nonno, dove facevo i compiti. Quando arrivavano le 4, andavo al campetto dei preti. Si poteva giocare solo se la sera prima si era stati alla funzione: decideva Angelino il custode, che controllava chi sì e chi no. Ovvio che io di messe non ne mancavo una. Un giorno però Angelino dice che non si gioca, perché padre Borsetti è malato e non può suonare l'armonium. Accade qualcosa: senza pensarci, mi faccio avanti e dico: "Lo suono io l'organo". Era il Dna: avevo inconsapevolmente memorizzato le posizioni delle mani del prete sulla tastiera e potevo riprodurle alla perfezione. Solo due accordi, non ero mica Mozart: piripì e parapà. Ma adesso so che era una musicalità naturale. E fu il primo gradino nella scala della mia vita."
(Stelvio Cipriani, musicista e compositore; Roma, 20 agosto 1937 – Roma, 1º ottobre 2018)
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